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Shiatsu e Arte

Anni fa, in occasione della grande manifestazione nazionale di Shiatsu a Roma, trovammo un titolo che piacque subiti a tutti e che era anche una precisa collocazione di campo: “Lo shiatsu, una grande arte per la salute”.
Certo collocarci in questo campo è gratificante per noi e certamente corrisponde anche al sentimento e all’immagine dello shiatsu che la nostra stessa esperienza ci suggerisce. Mi sono chiesta se non sia però un’affermazione un po’ presuntuosa.

Lo shiatsu è davvero un’arte? Che arte è? In che senso il nostro modo di lavorare assomiglia a quello degli artisti?
Per capirne di più ho parlato con alcuni artisti : un fotografo, un pittore, una musicista, una pittrice-ceramista-scultrice, una artista che lavora con ago e filo.
Ho rivolto loro due domande: come nasce un’opera? quando la consideri finita?
A qualcuno ho chiesto anche: che rapporto c’è tra conoscenze, competenze tecniche, e la creatività?
Vi leggo le risposte senza commentarle.

Euro, pittore
Comincio con una pennellata, poi aspetto cosa mi dice e poi proseguo.
Quando è finito? È il quadro stesso che lo dice; è finito quando raggiunge una armonia, un equilibrio.

Lynn, dipinge e scolpisce con ago e filo
Mi considero di più un’artigiana: ho una idea, dei modelli, una tecnica. Ogni tanto creo.

Elisabetta, musicista
L’opera inizia spesso perché c’è un committente.
Nella musica abbiamo dei vincoli formali precisi che io chiamo “scatola”; ci sono delle proporzioni prestabilite che bisogna rispettare, altrimenti il pezzo risulta squilibrato. Anche l’improvvisazione ha regole ferree. Armonia in greco significa collegamento (tra gli accordi), ci sono dei rapporti numerici che vanno rispettati. La musica fin dai primordi è un metalinguaggio per comunicare con la divinità.
Bach si definisce artigiano. E Strawinsky, alla domanda “Che cos’è l’ispirazione?” rispondeva: “Sedersi a tavolino alle nove del mattino e alzarsi all’una”.
All’interno dei vincoli formali la soggettività, la creatività irrompe con timbri, colori, le modulazioni, la scelta melodica, il ritmo; c’è, soprattutto, una interiorità che viene fuori.
La tecnica serve per andare avanti, ma quando si perde l’ispirazione si ricorre alla tecnica.
Un’opera è finita quando ha riempito la scatola-forma, ed è riuscita solo se comunica. Può comunicare anche schifo, ma deve comunicare.

Giuliano, fotografo
Ci sono essenzialmente due modi in cui nasce un’opera: avere sempre la macchina con sé e “vedere”. C’è qualcosa che attira, una visione, e poterla realizzare. Può essere un attimo, o un oggetto. L’altro modo è avere un progetto. C’è ispirazione sul tema di questo progetto che poi viene realizzato e può diventare una mostra.
Naturalmente il possesso della tecnica è scontato. Poi può succedere che la foto di un bimbo può essere artistica. Non obbligatoriamente l’arte corrisponde a dei canoni tecnici. Il fotografo di professione però non può permettersi di fare delle foto casuali.
L’opera finita è la stampa. Ci sono vari momenti in cui si può intervenire per adeguare il risultato alla visione. Una foto è riuscita quando realizza la visione, cioè quello che ti è piaciuto, ti ha emozionato.

Ronit, pittrice-ceramista-scultrice
Le idee nascono a scatti, a volte da stimoli esterni a volte in modo imprevisto: per sei mesi non fai niente ma la mente-corpo lavora, intanto. A volte hai tante idee, ma quando vai a realizzarle non ci sono più. Nell’arte le idee sono più vicine alla poesia, sono metafore visuali. Non si sa da dove vengono le idee. Se lo fai come mestiere le idee ti vengono attraverso una ricerca, approfondisci e nasce un’altra cosa.
Non c’è una regola di quando un opera è finita. Nell’arte c’è l’arte di sapere quando smettere, non toccare più.
Ci sono opere che senti subito quando l’hai finita, è un dialogo immediato. Altre volte hai bisogno di riguardarle dopo un po’ di tempo. (A volte il coinvolgimento è molto forte e a volte non pensi razionalmente a quello che fai.) A volte ci sono quadri che si trasformano in altri quadri, è un lavoro continuativo. A volte non sei convinta che deve rimanere così, ma non puoi toccarlo e allora devo sentire gli amici, i colleghi.
Un’opera è finita quando senti che è finita, è un mix tra contenuti ed emotività. Sarebbe un equilibrio, ma non è decifrabile. Dopo aver realizzato una cosa grossa non posso rimettermi subito a lavorare. E quando va in una mostra il rapporto emotivo con il quadro è finito.

Teniamo a mente queste risposte e ritorniamo alla domanda iniziale “Lo shiatsu è davvero un’arte? Che arte è?” Quanto ci si può riconoscere in quello che gli artisti hanno detto?

Comincerei intanto col precisare che se arte è, lo Shiatsu è un’arte della relazione. Relazione fra due corpo-mente, fra kyo e jitsu, yin e yang. Corpo-mente vuol dire anche emozioni, sentimenti, facoltà, funzioni, struttura. Kyo-jitsu allude a uno squilibrio che sempre si ricompone per tramutarsi in un altro squilibrio e di nuovo ricomporsi, e così via. E yin-yang ci proietta su uno sfondo che è vasto quanto l’universo, con le sue multiformi infinite manifestazioni
Come tutto ciò che si occupa della vita lo shiatsu ha a che fare con il movimento: la nostra relazione è dinamica, mutevole, fatta di accadimenti, di incertezze, di imprevedibilità, in un intreccio fra spazio e tempo.
Se dunque arte è, potremmo allora parlare dello shiatsu come di un’ “arte del movimento della vita”. Al pari degli artisti che abbiamo sentito, anche per noi, per praticare lo shiatsu, bisogna che qualcosa nella sua materialità, nelle sue potenzialità, ci attiri, ci piaccia.Che qualcosa in essa ci risuoni, ci dia senso.Questo comporta un esservi sensibili, avere delle predisposizioni, se non un talento. Quando le predisposizioni sono coltivate diventano competenze, un saper fare (artigianato) aperto alla creatività.

In un recente congresso sulla creatività, a Firenze, si è affermato con forza che la creatività non nasce dal nulla. Sorge invece da solide basi di conoscenze, competenze, acquisizioni tecniche sedimentate. Questo a maggior ragione è vero per coloro per i quali, come per noi, è una passione e un mestiere.
Bisogna dunque che questa modalità di relazione shiatsu ci piaccia. Alzi la mano chi in questa sala fa shiatsu anche se non gli piace o non gli piace tanto.

Nel processo artistico un passaggio decisivo, l’abbiamo sentito, è lasciare che si manifesti l’ispirazione, l’intuizione, l’idea, la “visione” diceva Giuliano. È un aspetto della creatività? Come nasce un trattamento?
Può nascere in modi diversi per ciascuno di noi, ma è certo che nello shiatsu l’ispirazione, l’intuizione, l’idea o come la si vuole chiamare, nasce dal rapporto diretto con il ricevente. Essa è qualcosa di invisibile, di intangibile che però ci appartiene in modo assolutamente intimo. Attraverso essa siamo noi stessi che ci manifestiamo come soggettività (la musicista l’ha chiamata interiorità) che impatta e risuona con un’altra soggettività.
Potremmo dire che lo shiatsu è “arte del movimento della vita” in quanto è un esserci, un essere presente alla vita nel fare qualcosa, senza pensare a priori come deve essere, sentendo piuttosto “così va bene, così no”. In questo preciso senso è un’espressione di vitalità che soddisfa nel suo stesso compiersi. Come per gli artisti risponde anch’essa a una spinta a che qualcosa appaia, prenda forma, accada. È come cavalcare il ki.
Richiede anche, come abbiamo sentito da Ronit ed Euro, un equilibrio tra il fare e il non fare, fra dire (la pressione) e aspettare, ascoltare la risposta, percepirla, coglierla.
A differenze di queste arti, però, in cui l’artista è generalmente solo con la sua ideazione e la sua tecnica ed il risultato della sua azione si materializza per così dire in un quadro, in un concerto etc., la nostra arte è un’azione all’interno di una relazione, o meglio, come ho detto, una relazione tra due corpo-mente. Ne consegue che non possiamo considerare il nostro paziente alla stregua di una tela, o di uno strumento musicale (siamo forse più vicino all’arte teatrale o alla danza, dove il corpo dell’attore agisce l’opera stessa). Il ricevente è il nostro co-agente. Dunque anche lui un artista? Anche per questo lo shiatsu gli piace?

Un’altra specificità: foto, quadri, concerti, sono destinati e hanno bisogno di circolare presso un pubblico, essere visti, ascoltati. Lo shiatsu richiede solo due persone per volta. Questo non significa che ha una circolazione limitata. All’interno di questa esperienza a due c’è intanto una prima circolarità, come diceva Ronit a proposito di un quadro che si trasforma in un altro : ogni trattamento agisce in qualche modo da terreno per quello successivo, si gira attorno a un “nodo” un centro, in un movimento di approfondimento. E cosi come ogni trattamento, al pari di ogni esecuzione musicale, non è mai identico al precedente, anche la persona che vive un trattamento shiatsu sposta anche di poco la sua posizione nella vita e anche noi stessi ci spostiamo. Gli effetti di qualcosa che succede a queste due persone, si propagano poi, magari in modo impercettibile e tuttavia assai probabile, nell’ambiente di cui ciascuno di noi è centro. Lo shiatsu circola oggi fra molte persone, in realtà.

Vediamo ora l’altro punto: quando consideriamo finito un trattamento?
Come i musicisti abbiamo anche noi una forma che ha le sue regole: esse riguardano la durata (da quaranta minuti a un’ora, in genere), le procedure minime ripetute (accoglienza, raccolta dati, trattamento, congedo). All’interno di questa cornice ritmo, profondità della pressione, focus dell’attenzione, atteggiamento, qualità della nostra presenza, per non nominare che questi, sono altri elementi di soggettività e creatività.
A volte, come dice Euro per il quadro, è il trattamento stesso a dirci quando è finito, a volte, come dice Giuliano, è realizzata la visione: ciò che ha attirato la nostra attenzione è stato attraversato; a volte ancora, come dice Ronit, è per via di un’armonia che non è decifrabile; nell’arte c’è l’arte di sapere quando non toccare più.
La conclusione è frutto delle scelte fatte, di ciò che è accaduto. Finito il trattamento, abbiamo bisogno anche noi di staccare. E non solo per riposare la nostra schiena, i nostri pollici o gomito o ginocchi.

Termino queste riflessioni con una domanda: quando un trattamento è riuscito?
Devo premettere che così come la foto di un bambino può essere “artistica”, come dice Giuliano, lo stesso può succedere del trattamento di un principiante. Ricordo che Masunaga teneva in grande pregio l’attitudine del principiante, nello shiatsu
Detto questo, se il criterio di valutazione di un’opera d’arte, una volta che il suo autore/autrice lo consideri concluso, è legato al suo “apparire” ad altri, qual è il criterio di valutazione del “opera” shiatsu (meglio sarebbe chiamarla “azione” shiatsu)? La remissione dei sintomi? La nuova consapevolezza di sé da parte del ricevente? I suoi movimenti di riaggiustamento nei disequilibri della propria vita? Il benessere? La felicità?
Elisabetta dice “l’opera è riuscita solo se comunica, deve comunicare”
Così come l’artista, non siamo noi a poter rispondere a questa domanda. Anche se succede talora che la nostra sensazione finale coincida con la sua, è il nostro co-agente a rispondere. Noi possiamo solo confidare nella risonanza, nella traccia che, impalpabile quanto quella provocata dalla musica, si è comunque attivata attraverso il trattamento.
Shiatsu come arte della risonanza vitale. E noi, un po’ artigiani, qualche volta artisti

— Maria Silvia Parolin